I sommovimenti che stanno sconvolgendo il Nord Africa e rischiano di allargarsi all’area del Golfo debbono convincerci che occorre investire in fonti alternative al petrolio, in maggiore capacità di ricerca, sviluppo e innovazione nel campo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.
Alcuni dati per capirlo. Per quanto riguarda le riserve, nel 2009, oltre al Venezuela (secondo con oltre 172 miliardi di barili) ai primi posti si trovavano Arabia Saudita (prima), Iran (terzo), Iraq (quarto), Kuwait (quinto) gli Emirati Arabi Uniti (sesti) per un totale di circa 716 miliardi di barili. Ottava era la Libia con 44 miliardi di barili. Nord Africa e Golfo Persico possiedono il maggior numero di riserve petrolifere e il 45 per cento di quelle di gas naturale.
I maggiori rischi di contagio riguardano ora l’Algeria, importante membro dell’Opec con riserve di petrolio per circa 12 miliardi di barili e per 4.504 miliardi di metri cubi di gas. Confidare in un veloce ridimensionamento del ruolo interpretato dal petrolio sullo scenario geopolitico mondiale sembra, di fatto, illusorio. In termini di riserve accertate vi sono, infatti, circa mille miliardi di barili. A queste si dovrebbero aggiungere le riserve probabili e quelle possibili. Per un totale di circa cinque mila miliardi di barili.
Un mare di petrolio, insomma. Se così fosse, invece che esaurirsi entro poco tempo, il greggio sarà nostro compagno di viaggio molto a lungo. Settanta anni secondo alcune previsioni. Se anche si riducesse questa stima di un ventennio, mezzo secolo sarebbe comunque un periodo sufficientemente ampio per nutrire la già ricchissima filiera industriale di produzione.
Flessibilità, costi e insostituibilità nei trasporti fanno dell’oro nero il vero numero uno in campo energetico. E tuttavia, le speranze rivolte a una minor dipendenza dal barile passano prima di tutto da maggiori investimenti in fonti alternative al petrolio e al gas. D’altra parte, il sistema dei trasporti e (soprattutto per paesi come il nostro) quello industriale sono tuttora fortemente vincolati alle importazioni di greggio.
L’Italia non ha ancora fatto rilevanti investimenti in fonti alternative a petrolio, gas o carbone, importa oltre l’80% di energia primaria di cui ha bisogno e produce energia elettrica per il 70% grazie ai combustibili fossili. Con buona pace di molti imprenditori italiani, che continuano a pagare bollette più elevate di circa il 30%-35% rispetto a quelle dei loro concorrenti europei.
di Bruno Pampaloni